Le donne che mi chiedono specifiche sull’intervento di mastoplastica additiva sono sempre più informate. In molte, infatti, hanno già sentito utilizzare il termine rippling e vogliono approfondimenti in merito. Ricordo innanzitutto che si tratta di un termine inglese che deriva da ripple, parola che si può tradurre con “ondulazione”.
Il rippling in mastoplastica additiva altro non è che una situazione in cui, in determinati punti e posizioni, la protesi risulta leggermente visibile e caratterizzata dalla presenza di piccole increspature o pieghe.
Come ho avuto modo di sottolineare il mese scorso su Instagram rispondendo alla domanda di una donna che si è sottoposta alla mastoplastica additiva partendo da un seno molto piatto, è vero che protesi più grande significa décolleté più voluminoso, ma lo è altrettanto il fatto che l’impianto si vedrà molto di più e che potrà fare rippling.
Se si parte da una misura ridotta, questo non bisogna dimenticarlo. Le pazienti, molto spesso, non si accontentano mai e desiderano un seno sempre più voluminoso. Se, però, si va troppo oltre alla capacità del torace di accogliere una protesi, il rischio è quello di trovarsi con un risultato estremamente naturale.
Tornando con il focus sul rippling, ricordo che l’unico modo per evitarlo è… non operarsi! Purtroppo, in alcuni casi, è inevitabile o molto probabile che si verifichi.
Cosa si può fare in concreto? Cercare, come ho sottolineato sempre su Instagram, il giusto compromesso. Ciò vuol dire, per esempio, ricorrere all’aiuto di uno strumento come il Crisalix. A partire da tre foto standard del torace della paziente, il sistema è in grado di restituire una simulazione verosimile di come potrebbe venire l’intervento, facendola vedere in 3D.
Con questo output e con le misure della paziente alla mano – una importantissima, come ho avuto modo di spiegare in questo articolo, è quella delle spalle – è possibile scegliere le protesi migliori per la singola donna.